È davvero curiosa l’origine della parola salame, non solo in relazione al prodotto che sta ad indicare, ma anche perché è entrato nell’uso comune come termine poco lusinghiero per definire uno stolto. Essere apostrofati come salame, non è certo un gran bel complimento, ma è interessante sapere come si è arrivati ad attribuire questo termine sia ad una persona un po’ tonta, che a uno tra i più gustosi insaccati.
Per questo, occorre fare qualche passo indietro. La prima anomalia sta nel fatto che questo termine non è contemporaneo alla nascita del salume che ne porta il nome. La storiografia gastronomica, indica il 1581 quale anno in cui la parola salame compare per la prima volta in un manuale di cucina, indicando un insaccato di carne suina.
Tale compendio fu redatto da Vincenzo Cervio, trinciante di Casa Farnese, che utilizzò questo termine per designare un insaccato costituito da carne e grasso di maiale, condito con sale e pepe in grani, insaccato in un budello e conservato per un periodo che poteva variare, secondo il grado di stagionatura che si desiderava ottenere.
In realtà, il documento che per primo nomina il salame è ancora anteriore a quello del Cervio. Si tratta di un ordine, risalente al 1436, effettuato da Niccolò Piccinino – un condottiero al soldo del duca di Milano – che, a Parma, dove aveva una base operativa, richiese “…porchos viginti a carnibus pro sallamine…”, ovvero venti maiali per farne salami.
Prima di allora, i salumi erano denominati, indistintamente, botulus o insicia. E’ evidente come da quest’ultimo lemma avrà origine il termine insaccato che, tuttavia, risulta assai vago, stando ad indicare, come accennato, un qualsiasi insaccato e non specificatamente il salame.
Ma andiamo alla ricerca dell’etimologia del termine. La parola salame deriva da sale. Questa potrebbe apparire una deduzione fin troppo semplice e generica, dal momento che molti sono gli alimenti che utilizzano il sale per la loro conservazione; tuttavia, in questo caso, le ragioni del termine sono più ovvie di quello che sarebbe dato pensare.
Anticamente, con il termine salamen, si era soliti indicare, ancor prima che la carne sotto sale, il pesce salato, ovvero lo stoccafisso o baccalà. Non solo, ma il pesce salato, fino al Quattrocento, era venduto nelle botteghe dei Lardaroli, insieme alla carne e ai salumi.
Sicché, per estensione, il termine salamen finirà per costituire la radice etimologica di salume e specificatamente di alcuni insaccati, tra cui il salame e la bresaola, il cui suffisso “saola”, sta ad indicare proprio il sale e la salagione cui è sottoposto questo pregiato prodotto.
Dovrebbe, ora, essere chiaro come, a livello gergale, si sia giunti ad avere una perfetta corrispondenza semantica tra la parola baccalà e il termine salame. Infatti, in questo contesto traslato i due termini sono sinonimi e stanno ad indicare una persona insulsa e ottusa. Sarebbe la consistenza dura (data dalla salagione) che accomuna i due prodotti, che rimanda alla cocciutaggine tipica dello sciocco e per questo soprannominato, indifferentemente, sia salame che baccalà.