Salume di nobili natali, eccellente e costoso, e per questo destinato a troneggiare sulle tavole principesche di tutta Europa. Divenne, tuttavia, un prodotto popolare a partire dall’Ottocento, quando iniziò ad essere prodotto con carne di scarto e da manodopera non qualificata. Solo recentemente è stato rivalutato, grazie al suo inconfondibile aroma e alla sua estrema succulenza.
È questa, in breve, la storia di uno dei più amati salumi italiani: la mortadella. L’origine del termine è però incerta e due sono le ipotesi più accreditate. Secondo la prima teoria, l’etimologia del nome è da ricercarsi in myrtatum, il termine latino che designava il mirto – aroma utilizzato in luogo del più prezioso pepe − che costituiva uno degli ingredienti di un insaccato chiamato, per questo, farcimen myrtatum. Il farcimen myrtatum era un salume già noto e largamente apprezzato, dal momento che ne parlano sia Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), che Varrone (116 – 27 a.C.).
La seconda ipotesi – benché meno attendibile – associa, invece, il nome della mortadella direttamente al farcimen myrtatum, che veniva preparato, appunto, con il mortarium e per questo anche chiamato farcimen murtatum, ovvero carne tritata nel mortaio. Il mortaio era, infatti, uno strumento indispensabile per la preparazione di molti insaccati e testimonianze circa il suo utilizzo sono riscontrabili già nel I sec. a.C. Una stele funeraria risalente a quest’epoca raffigura un recipiente conico, il mortarium, con un pestello, il pistillum, impiegati appunto, a questo scopo.
Ma se l’origine etimologica del nome non è sicura, lo è invece la zona di provenienza: Bologna. È in questa città, difatti, che è conservata la più antica testimonianza di un produttore di mortadelle che preparava il farcimen myrtatum. Tuttavia, non sappiamo quale fosse la sua composizione, dal momento che era tenuta segreta dall’Arte dei Salaroli, i quali custodirono gelosamente la ricetta per secoli, nonostante la diffusione di dicerie, secondo cui la mortadella veniva prodotta utilizzando carni di scarto di diversi animali, come il vitello e l’asino.
Del resto, la confusione è lecita se consideriamo che la letteratura gastronomica medievale fornisce numerose varianti della formula, che si rifanno alle diverse scuole culinarie dell’epoca. In ogni caso, la prima vera e propria ricetta della mortadella la fornisce, nel Seicento, Vincenzo Tanara (†1667). Lo fa senza reticenze, fornendo indicazioni puntuali e decisamente attendibili, visto che la sua versione risulta essere molto simile a quella in uso fino a pochi decenni fa, quando il quantitativo di grasso era nettamente superiore a quello odierno.
Ciònonostante, la composizione della mortadella fu regolamentata abbastanza presto. Nel 1661 le Corporazioni dei Salaroli e dei Lardaroli si adoperarono affinché questo insaccato fosse insignito di una denominazione di origine, per garantirne la qualità e la realizzazione secondo precisi requisiti, tra cui l’uso esclusivo di carne suina. Una necessità nata nel tentativo di arginare un grosso problema: le contraffazioni. Queste proliferavano a causa del successo stesso dell’insaccato, che travalicava i confini bolognesi. Non era raro, difatti, trovare versioni molto simili sia in Toscana che a Roma, che però non riuscirono mai a eguagliare l’originale, unica e incontrastata, che per questo è chiamata anche Bologna.