Il sodalizio del cinema con la gastronomia è riuscito a produrre una filmografia che circoscrive il suo ambito ai salumi e, in qualche caso, a renderli interpreti veri e propri.
“La Mortadella” è il titolo di un film di Mario Monicelli che ha per protagonista – oltre a Sophia Loren e al bravissimo Marcello Mastroianni – il noto insaccato bolognese. La storia è semplice: Maddalena, una popolana napoletana in viaggio per raggiungere il marito a New York, si vede requisire alla dogana una mortadella – uno dei tanti regali di nozze – a causa di una legge locale che vieta l’importazione di tali alimenti. Tuttavia, la storia vuole essere più ambiziosa della classica commedia all’italiana, l’intento è quello di attaccare, con ironia, i costumi statunitensi e per farlo, il regista, con il pretesto dell’ insaccato, dà avvio a una serie di situazioni paradossali.
In “Prosciutto Prosciutto”, dell’iberico Bigas Luna, la vicenda si snoda attorno al morboso attaccamento di Conchita per il figlio Josè Luis, innamorato della bella ma povera Silvia, figlia di Carmen, un’ex prostituta, che, per questo, è poco gradita alla madre del ragazzo. Per allontanare Silvia da Josè Luis, Conchita assolda Raul, un rozzo magazziniere di un deposito di prosciutti, affinché la seduca. La vicenda si conclude con una lotta a colpi di prosciutto tra Raul e Josè Luis. Il riferimento, nel titolo, al prosciutto è soprattutto semantico: infatti, con il termine jamon, in Spagna, ci si riferisce, in maniera un po’ volgare, a una bella donna. Un melodramma con continui rimandi alla commedia farsesca, in cui il cibo è strettamente legato al sesso.
Altro film in cui compare una scena emblematica legata alla salumeria è “Il divorzio” di Romolo Guerrieri, con Vittorio Gasmann, dove una salsiccia si trasforma in rosario. La vicenda gravita attorno a Leonardo, un architetto di mezza età, che dopo tanti anni di matrimonio si separa dalla moglie per ritornare alla vita da scapolo con l’entusiasmo, un po’ anacronistico, di un giovanotto. Ma gli incontri, insignificanti e squallidi, finiscono per annoiarlo in breve tempo.
La fame è, invece, il motore che spinge due artisti teatrali scalcinati e senza talento, a rubare dei salami in “Polvere di Stelle”, un film del 1973 di Alberto Sordi.
Anche in “Miseria e nobiltà” la fame è la protagonista. Qui, un Totò magistrale, applica la nota arte di arrangiarsi per sostenere la sua famiglia. In questo film, c’è una scena deliziosa e paradossale in cui Pasquale/Totò decide di “permutare” il suo paltò – che tende opportunamente a sovrastimare – in cambio di una lista infinita di vivande appetitose, tra cui una salsiccia freschissima con cui fare il sugo.
Mentre ne “La felicità non costa niente” di Mimmo Calopresti, il protagonista, alla ricerca della felicità dopo un incidente che lo porta a cambiare vita, comprende, grazie ad un sogno in cui assaggia un panino al salame, quanto poco ci voglia per essere felici.
“La grande abbuffata” di Marco Ferreri narra la vicenda di quattro amici che si ritrovano in una villa alle porte di Parigi per compiere una “grande abbuffata”: un connubio mortale di eccessi gastronomici ed erotici. Le pietanze provengono dalla famosa gastronomia parigina Fauchon. Qui, tra le tante portate, appare anche un succulento sanguinaccio e degli spiedini di porchetta.
In “The Big night” di Scott e Tucci, la vicenda si sviluppa in America, negli anni Cinquanta. Due fratelli italiani approdano negli Stati Uniti in cerca di fortuna e qui, rilevano un ristorante cercando di risollevarlo dalla bancarotta. Tuttavia, uno dei due fratelli si rifiuta di assecondare le tendenze culinarie degli americani, e il ristorante non decolla. Verrà in loro aiuto il proprietario del vicino e apprezzato locale che propina, invece, vivande scadenti. Sarà lui l’artefice della “big night”, una serata in cui si mescolano sapientemente musica e cucina, e il cui piatto forte è un timpano di maccheroni, un trionfo di carne di maiale, pancetta estrutto.